LIEVITI ENOLOGICI: PERCHÉ È IMPORTANTE LA PREVALENZA?
IL CONCETTO DI PREVALENZA IN ENOLOGIA E LE DIFFICOLTÀ ASSOCIATE AI PROCESSI DI PROPAGAZIONE DELLA BIOMASSA.
LA COMPETIZIONE MICROBICA NEL MOSTO
Il lievito selezionato è uno dei capisaldi dell’enologia moderna, il quale ha garantito la standardizzazione dei processi fermentativi e il maggiore controllo degli stessi.
Infatti, nella fermentazione enologica, a differenza di altri settori quali quello birraio (che pure fa uso nella maggior parte dei casi di starter microbici simili), la competizione microbica è un fattore che può giocare un ruolo determinante nella qualità del prodotto finale, in quanto specie microbiche selvatiche associate all’uva potrebbero determinare un importante grado di variabilità nelle caratteristiche del prodotto o addirittura la sua potenziale compromissione.
LE BIOTECNOLOGIE E LO SVILUPPO DI NUOVI CEPPI DI LIEVITO
Il risultato finale di questi sforzi è stato, negli anni, lo sviluppo di ceppi di lievito sempre più performanti, privi di difetti metabolici e organolettici (fermentazioni bloccate o rallentate, innalzamento acidità volatile, produzione di solfuri), più resistenti agli stress nutrizionali e caratterizzati da features uniche (presenza di attività enzimatiche specifiche, ridotta produzione di SO2, fenotipo killer, impronte aromatiche specifiche, ecc.).
IL LIEVITO SECCO ATTIVO COME GARANZIA DI PREVALENZA
È grazie all’introduzione del Lievito Secco Attivo (LSA), mutuato da altri settori, che l’importante lavoro di selezione sopra citato è stato portato sul mercato e quindi nelle cantine di tutto il mondo, in un formato facile da gestire e con sostanziali benefici in termini di trasportabilità e soprattutto di conservabilità nel medio-lungo termine.
Utilizzando l’LSA, aziende come AEB sono in grado di garantire la prevalenza del lievito selezionato nel corso della fermentazione. Il concetto di prevalenza è fondamentale per il buon svolgimento tecnologico della fermentazione: uno starter microbico prende la prevalenza quando assume il carattere di protagonista primario della fermentazione, soppiantando numericamente e metabolicamente la popolazione “mista” di lieviti selvatici.
La possibilità di utilizzare un lievito selezionato in enologia ha consentito migliorie significative dei processi fermentativi in quanto gli LSA consentono:
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01un completo e prevedibile svolgimento della fermentazione alcolica;
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02la riduzione dell’acidità volatile associata alle fermentazioni spontanee;
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03la riduzione delle caratteristiche organolettiche anomale legate alle specie microbiche selvatiche;
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04la riduzione della presenza di molecole nocive di origine microbica quali le ammine biogene;
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05la corretta gestione temporale e il potenziale disaccoppiamento della fermentazione malolattica rispetto alla fermentazione alcolica.
LA PREVALENZA IN NUMERI
Il concetto di prevalenza è sinonimo non solo del controllo del processo fermentativo in cantina, ma anche di qualità del prodotto finale, nonché di riproducibilità della stessa. È infatti necessario avere il corretto numero di cellule perché le caratteristiche dello starter siano espresse a pieno e che, alla stessa maniera, determinati difetti organolettici o qualitativi legati alle specie selvatiche vengano espressi nel vino finito.
Per capire appieno l’importanza dell’utilizzo del lievito secco attivo in enologia bisogna tornare brevemente a considerare le condizioni microbiologiche di un mosto medio. Bisogna infatti considerare che all’interno di un mosto possono essere presenti da 103 a 105 cellule/mL di microorganismi “selvatici”; quindi una popolazione di almeno 106 cellule di lievito è strettamente necessaria se si vuole prendere la prevalenza, ovvero una popolazione di lievito che superi di 10 volte quella dei microorganismi selvatici. Se si considera che un preparato LSA medio consta di circa 1010 cellule/g e che se ne raccomanda l’utilizzo di 20 g/hL, il corrispondente numerico in relazione all’unità di volume finale è proprio 106 cellule/mL, che costituisce di fatto il target tecnologico associato a questo processo e che consente alla popolazione dello starter di soppiantare ogni possibile concorrente.
LA PROPAGAZIONE DELLA BIOMASSA
I LIMITI DEI PROCESSI “ARTIGIANALI” DI PROPAGAZIONE DEL LIEVITO
Tuttavia, questo approccio presenta delle limitazioni concettuali e tecniche importanti:
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01In primo luogo, è totalmente prevedibile che la maggior parte della popolazione di lievito rilevabile alla fine di un normale decorso fermentativo sia rappresentata dal genere Saccharomyces e più in particolare a S. cerevisiae; tale fenomeno è da ascrivere alla capacità congenita della specie in questione di resistere ad alte concentrazioni alcoliche, anche superiori a 12% ABV, dove invece la maggior parte delle specie contaminanti viene inibita da tali valori.
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02Conseguentemente, lo stato microbiologico finale della fermentazione non conferisce alcuna indicazione in merito all’effettiva “storia” della stessa. In altre parole, benché la concentrazione alcolica del mezzo favorisca una sovra-rappresentanza finale dello starter inoculato, gli avvenimenti a carico delle prime fasi fermentative restano di fatto sconosciute. Tale finestra di mancato controllo microbiologico potrebbe consentire l’insorgenza di difetti qualitativi legati al metabolismo di specie non selezionate.
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03A differenza dell’applicazione dell’LSA, non si ha alcun tipo di garanzia sul numero totale delle cellule inoculate all’inizio della fermentazione, che, a meno della possibilità di misurarle con metodi quali la camera di Bürker o la conta su terreni di tipo agarizzato (a disposizione solo di cantine con laboratori interni altamente specializzati), rimane totalmente non verificabile. La stessa problematica si ripercuote sulla sostanziale impossibilità di verificare la purezza microbiologica della popolazione finale ottenibile dal processo di propagazione.
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04La selezione “fai da te” di ceppi di lievito negli ambienti di cantina pone non poche difficoltà di gestione. Non solo sarebbero necessarie, anche in questo caso, attrezzature da laboratorio biologico per effettuare la manipolazione del ceppo (piastre, cappe sterili, autoclavi di sterilizzazione), ma i più grossi limiti sarebbero posti dalla conservazione a lungo termine, in quanto per garantire la conservazione delle caratteristiche fenotipiche nello stock originale sarebbe necessario il congelamento a -80°C in soluzione di glicerolo al 25%. Tale tecnologia, non attuabile in cantina, è invece appannaggio delle collezioni microbiche, le quali sono in grado di effettuare controlli genetici periodici sulle cellule e quindi monitorarne lo stato qualitativo.
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05I lieviti posti in tali moltiplicatori non vengono cresciuti utilizzando melasse e nutrienti azotati sterili; vengono anzi alimentati con mosto di vino oppure con MCR, predisponendo di fatto all’insorgenza di contaminazioni derivate dalle stesse materie prime.
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06Un punto finale ma fondamentale legato all’utilizzo di moltiplicatori di biomassa è quello relativo alla possibile insorgenza di mutazioni genetiche nel lievito. Ciò avviene per un motivo abbastanza semplice e intuitivo: un microorganismo che cresce in un brodo di coltura in maniera perpetua (anche ipotizzando un 3% di ABV e un pH controllato di 4,5), non è di fatto sottoposto ad alcuna pressione selettiva. Per questo motivo, la funzionalità di geni non “essenziali” alla sua riproduzione in questo ambiente può essere persa senza danni alla fitness del ceppo, che trarrà invece beneficio dalla selezione positiva di varianti alleliche che ne favoriscano la cinetica di crescita e l’efficiente utilizzo di nutrienti in un metabolismo respiratorio anziché fermentativo. Alla stessa maniera il ceppo in questione potrebbe perdere funzionalità legate alle caratteristiche originali per cui era stato selezionato in prima istanza, come una particolare impronta aromatica o un’attività enzimatica, oppure sviluppare alterazioni a livello di metabolismo che lo potrebbero predisporre a maggiori stress in particolari condizioni nutrizionali o addirittura a più alti titoli di acidità volatile prodotti.
LE ACCORTEZZE DA ADOTTARE
L’aspetto fuorviante dell’applicazione delle tecniche di moltiplicazione “artigianali” è che in qualsiasi maniera, che vengano utilizzati o meno i metodi corretti, porteranno ad un risultato di qualche tipo. Si avrà sempre una fermentazione del mezzo e quindi la produzione di una popolazione di cellule, di cui non sapremo però l’entità, né il grado di purezza microbiologica.
Perciò, la propagazione del lievito enologico tramite l’applicazione di moltiplicatori come quelli sopra descritti non può in alcuna maniera prescindere dall’utilizzo dell’LSA, che, anche in questo contesto dovrebbe essere utilizzato (in una buona prassi) per effettuare un periodico ripristino dell’integrità genetica originale del ceppo.
In sintesi, l’adozione di processi di propagazione di biomassa all’interno delle cantine, se non condotta con le adeguate accortezze tecniche (riduzione della carica microbica del brodo di coltura, periodica reintegrazione della popolazione di lievito con LSA), rischia di produrre effetti avversi e di tradire il motivo stesso per cui gli starter enologici sono stati implementati.
Se si intende intraprendere questo tipo di approccio nella propria cantina è necessario avere numerose accortezze in termini di detergenza, di sanificazione e di controllo delle variabili di processo (temperatura, pH, agitazione, vitalità cellulare) e diffidare in maniera categorica di qualsivoglia approccio semplicistico alla moltiplicazione della biomassa, che richiede invece un contributo fine e di alto contenuto biotecnologico, pena la perdita, già nel medio termine, delle caratteristiche di qualità e riproducibilità del proprio processo fermentativo.